Parco dello Stelvio, via libera al piano cervi: 237 capi da eliminare

Nel Parco nazionale dello Stelvio, uno dei principali luoghi di tutela ambientale in Italia, è ripreso l'abbattimento dei cervi, una misura controversa che mira a ristabilire l'equilibrio ecologico. A partire dal 2023, la Provincia di Trento ha adottato il Piano di gestione del cervo, con l’intento di contenere una popolazione giudicata sovrabbondante.
La decisione ha suscitato ampie discussioni, con molti che sollevano dubbi sulla necessità di tale intervento, nonostante venga giustificato come necessario per la salvaguardia dell’ambiente. L'abbattimento, infatti, continua a sollevare interrogativi riguardo l'efficacia e l'etica di tali pratiche nel lungo periodo.
Via libera alla caccia dei cervi nel Parco dello Stelvio, si potrà sparare a 237 cervi
Negli ultimi due anni, sono stati abbattuti 332 cervi nel Parco nazionale dello Stelvio, con un obiettivo di 237 esemplari per la stagione in corso, cifra già inferiore ai 400 inizialmente previsti. Questa revisione delle quote, che ha visto l’appoggio anche di alcuni cacciatori, solleva dubbi sulla solidità delle valutazioni che hanno portato al piano iniziale.
Se è possibile abbassare le stime senza compromettere gli scopi prefissati, sorgono interrogativi su quanto fossero accurate le previsioni iniziali e se non si stia procedendo più per tentativi che su basi scientifiche solide. Nonostante le crescenti polemiche e le petizioni contro la misura, le autorità locali continuano a minimizzare le critiche, alimentate da gruppi ambientalisti e altre voci critiche.
Secondo le autorità, la gestione del cervo è giustificata da un eccessivo consumo di germogli da parte degli ungulati, che danneggerebbe la crescita di specie vegetali come l’abete rosso, compromettendo l'habitat del gallo cedrone.
Inoltre, si sostiene che altre specie di fauna, come i camosci e i caprioli, siano penalizzate dalla competizione per il cibo. Un altro argomento a favore del piano è l'impatto sui pascoli agricoli, con i cervi che, durante la primavera, causano danni ai prati da sfalcio riducendo la produzione di foraggio fino al 30%.
Tuttavia, alcuni esperti indipendenti contestano questa visione semplificata, suggerendo che le difficoltà ecologiche non siano esclusivamente legate alla sovrappopolazione di cervi. Altri fattori, come i cambiamenti climatici, la gestione forestale, la crescente pressione turistica e la frammentazione degli habitat, contribuiscono anch'essi agli squilibri.
Ridurre la complessità del problema a una questione di “troppi cervi” rischia di ignorare altre dinamiche ecologiche cruciali, rendendo il piano di gestione troppo restrittivo e poco adeguato alle reali sfide ambientali del Parco.
La commercializzazione della carne
Un altro aspetto controverso riguarda la vendita della carne dei cervi abbattuti, che ha generato un ricavato di oltre 56 mila euro. Sebbene questo venga spesso presentato come un risultato positivo, l’operazione comporta costi significativi, tra cui il trattamento delle carcasse, che ammonta a circa 100 euro per capo, e i compensi ai cacciatori.
Inoltre, alcuni ristoranti di prestigio figurano tra gli acquirenti della carne, alimentando il sospetto che il controllo faunistico venga influenzato da interessi economici in un parco nazionale.






