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Si può dire "hamburger vegetali" e "salsicce vegane"?

Sì, lo ha deciso il Parlamento Europeo: i termini usati per i prodotti a base di carne possono essere mantenuti anche se le proteine animali sono assenti
Curiosità9 Novembre 2020 - ore 08:00 Redatto da Redazione Meteo.it
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(foto: Skeeze/Pixabay)

Burger e hamburger, salsiccia e scaloppina, bistecca e polpetta, salame e prosciutto, wurstel e ragù, bresaola e cotoletta. Sono tantissimi i termini che la tradizione associa inequivocabilmente a cibi a base di carne, ma che oggi vengono utilizzati anche per prodotti a base vegetale, senza proteine animali. Proprio sulla possibilità di estendere il significato di queste parole anche ai cibi vegetariani e vegani è in corso da tempo un'accesa discussione. Un dibattito di carattere culturale e politico, ma con importanti ripercussioni in termini di marketing e sull'economia.

L'ultimo atto, in termini cronologici, è la decisione arrivata nella seconda metà di ottobre da parte del Parlamento Europeo: nel Vecchio Continente è lecito e formalmente corretto continuare a usare la parola hamburger (e tutte le altre) pure quando il prodotto commercializzato è del tutto vegetale. Con il solo obbligo, naturalmente, di chiarire esplicitamente sulla confezione di che cosa effettivamente il cibo sia composto e informare il consumatore del mancato contenuto di proteine animali.

Seppur con leggere sfumature di differenza, erano ben 4 gli emendamenti proposti al Parlamento Europeo da altrettante forze politiche comunitarie. E sono stati tutti respinti. La linea politica e decisionale che sembra essere passata, anche sulla base dei pronunciamenti della Corte di Giustizia europea a proposito di latticini, è che quando ci si riferisce a materie prime (latte, yogurt, burro, formaggio, carne) è necessario rispettare il significato tradizionale, e dunque i prodotti devono essere di origine animale. Viceversa, quando si parla di preparazioni, di ricette o di tagli (come ragù o prosciutto, polpetta o cotoletta) è lecito estendere l'uso dei termini anche ai prodotti vegetali.

(foto: FocusOnPc/Pixabay)

Le ragioni di chi non è d'accordo

Naturalmente non esistono un 'giusto' e uno 'sbagliato' assoluti in situazioni come queste. Anche perché, va detto, gli effetti di questa decisione impattano sul mercato, sull'economia e sul lavoro, in tutti i casi favorendo specifici comparti e penalizzandone altri.

L'argomentazione principale sostenuta da chi vorrebbe che hamburger potesse essere solo quello di carne è che la doppia valenza del termine crea confusione tra i consumatori e apre le porte a pratiche di marketing deliberatamente ambigue. L'usare nomi uguali per prodotti di origine diversa, in particolare, potrebbe diffondere la convinzione che anche dal punto di vista nutrizionale non ci siano differenze sostanziali. Secondo un'analisi di Coldiretti per l'Italia, in particolare, il 93% delle persone riterrebbe un'espressione come hamburger vegano di per sé ingannevole.

Per la precisione, all'interno del movimento contro la cosiddetta fake meat ci sono posizioni varie. C'è chi, per esempio, si dice contrario a prestare i termini tradizionali ai prodotti vegetali, ma come eccezione acconsentirebbe comunque alla sola parola hamburger con la doppia valenza. Chi vorrebbe fissare un limite quantitativo percentuale tra proteine di origine animale e vegetale per distinguere quando si possano o meno utilizzare le varie denominazioni. Chi propone di coniare dei neologismi per dare ai prodotti a base vegetale una propria identità. E chi in realtà ritiene tutta la questione sia imputabile a un mero vizio procedurale, considerando la decisione del Parlamento Europeo un ribaltone in contrasto con la decisione della Corte di Giustizia europea di tre anni fa sui latticini.

Parte della discussione verte anche su un particolare composto, la legemoglobina di soia, che conferisce ai prodotti vegetali il sapore di carne e li fa anche somigliare di più ai prodotti animali durante la cottura. Qualcuno per questo parla di "carne chimica" o "carne sintetica". Il composto stesso può essere ottenuto estraendolo dalle radici della soia, ma in realtà il più delle volte viene prodotto attraverso organismi geneticamente modificati per ridurre il consumo di suolo e di acqua.

Finalità, quest'ultima, che è anche alla base della scelta alimentare più generale di chi vuole sostituire nella propria dieta (del tutto o in parte) le proteine animali con quelle vegetali. Per questo in realtà la battaglia sull'hamburger vegetale contiene al suo interno anche delle sotto-discussioni di carattere ambientale e sul tema degli ogm.

(foto: Shutterbug75/Pixabay)

Dall'ambiente all'economia

Anche se a volte sono stati inventati nomi simpatici da parte dell'una e dell'altra corrente di pensiero - dalla già citata fake meat al veggie salami - si tratta di una questione dai risvolti complessi e seri.

A partire dall'economia: con l'arrivo della pandemia il consumo di carne animale ha avuto una lieve flessione (del 3%), mentre si è impennato quello delle alternative vegetali, facendo segnare un +264% e sottraendo senza dubbio quote di mercato alla macelleria tradizionale. E se da una parte i lavoratori del settore zootecnico vedono minacciato il proprio business, dall'altra c'è un comparto in forte espansione che si stima valga già 4,6 miliardi di dollari a livello globale.

Un settore in cui si muovono non solo arrembanti startup come le statunitensi Beyond Meat e Impossible Foods, ma anche multinazionali del calibro di Nestlè, Unilever, Kellogg's, Findus, Burger King e McDonald's. Queste ultime si sono attivate certamente per interesse, sperando in un ritorno economico per i propri investimenti milionari, ma anche poiché il mercato e i consumatori stanno individuando sempre più nelle alternative vegetali alla carne un modo per tutelare la propria salute, e quella dell'ambiente. Che l'attuale consumo di carne a livello mondiale porti con sé un problema di sostenibilità, infatti, non è certo una novità.

Un tema, dunque, che ha a che fare con questioni scientifiche ed etiche, ma soprattutto con la percezione dei consumatori, che a volte sono molto ben informati e altre piuttosto distratti e superficiali nelle proprie decisioni. Le scelte di acquisto e i numeri di mercato, soprattutto nel breve e nel medio termine, sono molto influenzati dalle dinamiche della comunicazione e del marketing, in cui la denominazione dei prodotti non è affatto un dettaglio di poco conto.

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