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Come si formano gli uragani

Che cosa sono queste potenti perturbazioni e chi decide i loro nomi?
Eventi estremi17 Settembre 2020 - ore 09:49 - Redatto da Redazione Meteo.it
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Bertha, Dorian, Harvey, Katrina, Florence: sono solo alcuni dei nomi degli uragani più celebri che negli ultimi anni hanno portato la loro devastante violenza sulle coste, anzitutto degli Stati Uniti. In realtà possono avere nomi diversi a seconda di dove sono diretti: uragano è infatti il nome statunitense, di derivazione caraibica e con il significato originale di dio del vento o dio del male, mentre in Asia si parla più propriamente di tifone, di willy-willy in Australia, di baguyo nelle Filippine. Ma, al di là delle questioni lessicali, come succede che una semplice perturbazione evolva fino a trasformarsi nell’equivalente per potenza di migliaia di bombe atomiche?

Nascita di un uragano

Il punto di partenza di qualsiasi uragano è del tutto analogo a quello delle altre perturbazioni. Sotto l’effetto del riscaldamento solare, l’acqua del mare evapora e tende a salire. E salendo crea sotto di sé un calo di pressione, che a sua volta risucchia altra aria carica di altra umidità verso l’alto. Mentre sale però si raffredda, fino al punto che il vapore acqueo al suo interno condensa, formando piccole goccioline che poi possono aggregarsi in gocce più grandi e far iniziare a piovere.

In certi casi, però, questo fenomeno si sviluppa in condizioni estreme. Se l’acqua del mare è particolarmente calda, come effettivamente può succedere in mezzo all’oceano nelle aree tropicali, il processo di evaporazione si fa più intenso, con il vapore che raggiunge anche temperature di 30°C. Quella che si alza dal mare è allora una densa e ampia colonna di aria calda e umida, carica di energia, che sale velocemente verso l’alto.

In alta quota, dove fa più freddo, il processo di condensazione fa passare il vapore acqueo di nuovo allo stato liquido, e in questa fase l’energia e il calore vengono ceduti all’aria circostante, che si scalda e si espande. Espandendosi, però, si raffredda, fino al punto da diventare più densa e quindi ricominciare a scendere.

L’effetto che si crea è simile a quello di un’aspirapolvere, o di una pompa: al centro c’è l’aria calda e umida che sale, risucchiata verso l’alto, e tutt’intorno quella fredda che scende, generando un ciclo che tende a portare acqua – ma soprattutto energia – dalla superficie del mare fino in quota. E il tutto si auto-alimenta, perché più umidità significa più energia, più espansione in quota, più differenza di pressione e quindi sempre maggiore flusso d’aria risucchiato verso l’alto.

In queste condizioni, la formazione di un uragano ha inizio. Le nubi assumono una forma ad anello, con una zona di cielo limpido e sereno al centro (che poi diventerà l’occhio del ciclone), e allo stesso tempo l’effetto della rotazione terrestre tramite la cosiddetta forza di Coriolis determina una deviazione della traiettoria che porta l’aria a ruotare tutta nello stesso verso. Insomma, l’anello della perturbazione inizia a trasformarsi in un vortice.

La devastazione causata dall'uragano Laura in Louisiana, a fine agosto 2020

Dove e quando si formano gli uragani

Per quanto manifestazioni spietate della forza della natura, gli uragani possono formarsi solo se le condizioni sono esattamente quelle giuste. Per esempio, c’è bisogno di molta aria umida e molto calda, e soprattutto serve abbastanza superficie del mare affinché il processo di formazione possa avvenire senza ostacoli. Per questo motivo, gli uragani si possono formare solo in uno sparuto numero di aree tropicali, in mezzo a sterminate distese d’acqua dove possano anche avere libertà di movimento, di cui le più significative sono il Golfo del Messico e il Mar dei Caraibi nell’oceano Atlantico, oppure la zona a est di Australia e Indonesia nell’oceano Indiano.

In zone come queste può riuscire a formarsi, ammesso che si crei una differenza di temperatura abbastanza grande tra livello del mare e alta quota, che il vento a bassa quota sia poco e soffi sempre nello stesso modo, e che non ci siano terre emerse a dar fastidio al processo. Dapprima il risultato è solo una tempesta tropicale, ma se il processo è sufficientemente lungo si può arrivare allo stadio di uragano.

Non è un caso che in certe stagioni gli uragani si formino con più elevata frequenza. La maggior parte degli eventi di questo genere, infatti, tende a formarsi tra giugno e novembre, con un picco a settembre. Mediamente ogni anno ce ne sono una decina, di cui i due terzi classificati come uragano semplice (ossia di categoria 1 o 2, minimo o moderato) e l’altro terzo come uragano maggiore (categoria 3 o 4 o 5, forte o fortissimo o disastroso). E studi scientifici ci dicono che il cambiamento climatico – in particolare con il riscaldamento globale – non fa che aumentare la frequenza e la forza di queste perturbazioni estreme.

Tuttavia, per romperlo basta pochissimo: un punto in cui l’acqua è troppo fredda per permettere di mantenere attivo il pompaggio dell’aria carica di vapore, un vento intenso che soffia in quota e scombina la geometria ad anello, un’isola che fa venir meno la vera benzina dell’uragano, ossia l’acqua tiepida del mare. Nonostante possano portare devastazione e morte, di fatto gli uragani rivelano tutta la loro (relativa) debolezza e fragilità quando incontrano la terra ferma. Non appena viene a mancare l’acqua del mare, iniziano a infiacchirsi e a perdere potenza fino a disperdersi del tutto, nonostante la loro enorme energia residua sia comunque sufficiente a percorrere un tratto dell’entroterra, con le conseguenze che ben conosciamo.

Gli effetti dell'uragano Ike sulla costa del Texas

I nomi degli uragani

Il fatto che ogni uragano abbia un nome di persona, e la scelta dei nomi stessi, non è una casualità, ma il frutto di una ben precisa convenzione. Perché, curiosamente, i nomi degli uragani sono stabiliti prima ancora della loro formazione.

La World Meteorological Organization (Wmo), ossia l’Organizzazione meteorologica mondiale, ha stilato delle liste annuali, distinte per oceano Atlantico e Pacifico/Indiano, in cui sono riportati i nomi che gli uragani di ogni anno dovranno avere, indipendentemente dalle loro caratteristiche. Queste liste sono composte di 21 nomi, più che sufficienti a coprire gli effettivi eventi atmosferici annuali, in rigorosa progressione alfabetica. Seguendo l’alfabeto a 26 lettere, con l'esclusione di queste cinque: q, u, x, y e z.

Il primo uragano di ogni anno, dunque, avrà un nome che inizia per A, il secondo per B, e così via. Ecco perché, se ci si fa caso, quando gli uragani finiscono agli onori delle cronache è più probabile che abbiano un nome che comincia con una delle prime lettere dell’alfabeto. Complessivamente le liste ufficiali sono attualmente 6, e una volta finito il giro si ricomincia da capo. Salvo qualche aggiornamento, nel 2026 i nomi saranno gli stessi del 2020. Nel 2021, per esempio, i primi uragani saranno Ana, Bill, Claudette, Danny, Elsa, Fred e Grace.

Tra i nomi ce ne sono di maschili e di femminili, in modo piuttosto equilibrato. Ma non è sempre stato così. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento la nomenclatura da uragani era una questione di calendario e di santi: erano chiamati, infatti, con il nome del santo del giorno in cui arrivavano sulla costa. Solo con la Seconda guerra mondiale l’esercito e la marina statunitensi questa abitudine cambiò, ma in peggio. Se da un lato ci si svincolò dal calendario cristiano, dall’altro si introdusse una discriminazione di genere, poiché tutti gli uragani da quel momento iniziarono a chiamarsi con nomi esclusivamente femminili. Questa prassi restò formalmente in vigore dal 1953, quando fu formalizzata dal National Hurricane Center, fino al 1978, quando fu ristabilita la parità tra i sessi con l’inclusione dei nomi maschili nella lista.

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